Il premier stringe sulle intercettazioni e sull'immunità. I dubbi di Napolitano. Sugli ascolti aveva già piantato i suoi paletti
ROMA - Gli sorride, perché è pur sempre il suo pupillo, ma sul più bello lo interrompe. Berlusconi alza la mano nel gesto di "aspetta un attimo" e ferma Alfano, quando ha quasi finito di illustrare come dovrebbe essere la riforma della giustizia. "Eh no, Angelino, ti sei dimenticato due questioni molto importanti per tutti noi, le intercettazioni e l'immunità. Su queste dobbiamo andare avanti il più in fretta possibile e senza concedere nulla".
"nessuna modifica - ha aggiunto il premier - non come succedeva ai tempi di Fini e della Bongiorno perché loro adesso non ci sono più". Un attimo di gelo e di imbarazzo. Qualche toccata di gomito tra i ministri. Ma Alfano non perde l'aplomb e replica: "Davo per scontato che ci saremmo occupati di entrambe le questioni. Certo che andiamo avanti su intercettazioni e immunità". Il Quirinale è già in forte fibrillazione. Non c'è bisogno che parli sugli ascolti e sulla riforma delle carriere e del Csm. Le tante prese di posizione dal 2008 in avanti sono note e fanno ormai parte della storia dei tormentati rapporti, degli scontri più duri, tra palazzo Chigi e Colle. L'ultimo altolà di Napolitano sulla legge bavaglio ci fu quando il testo uscì dal Senato, privato delle migliorie che la finiana Giulia Bongiorno aveva inserito alla Camera. Un brutto incontro tra il capo dello Stato e il presidente, come riferirono le cronache. In cui il presidente ribadì che voleva salva la libertà d'informare i cittadini e quella di indagare delle toghe.
Ma è proprio a quel testo che ora si vuole tornare. Per approvarlo in tutta fretta e farlo diventare subito legge. Il capo dello Stato s'è poi rifiutato di "cogestire" le riforme sulla giustizia, ma ha posto rigidi paletti sulla tutela dell'autonomia delle toghe. Anche quando Alfano, nell'autunno scorso, tentò di portargli un brogliaccio su carriere e Csm si sentì rispondere che il Quirinale non avrebbe mai dato lasciapassare preventivi.
Tutto questo Berlusconi lo sa bene, ne ha discusso con lo stesso Alfano nei tanti incontri a palazzo Grazioli, ma ieri ai ministri ha detto di essere intenzionato ad andare avanti comunque e a ogni costo: "Questa volta dobbiamo andare fino in fondo. Lo scandalo delle intercettazioni che finiscono sui giornali deve finire. Il Rubygate dev'essere l'ultimo caso. I pm non possono continuare a violare la nostra privacy, anche quella di noi parlamentari". Poi l'affondo sull'immunità: "Nel '93 è stata abolita una legge sacrosanta. Dobbiamo tornare a quella legge, ripristinare una piena tutela per i parlamentari". Proprio per dare un primo segnale sulle garanzie a deputati e senatori sarà utilizzato il conflitto d'attribuzione alla Consulta per l'inchiesta di Milano.
Niente sconti, e sì agli scontri. Con chi si mette per traverso. Una strategia sulla giustizia, e per arginare i suoi processi, da attuare in tempi brevissimi. Su questo insiste più volte il Cavaliere durante la riunione a palazzo Chigi. I tempi sono la sua ossessione. Vuole subito la legge sulle intercettazioni. Ipotizza ancora il decreto legge, si ferma solo quando gli fanno capire che Napolitano non lo firmerà mai. Accetta, anche se a malincuore, che si torni al testo uscito dal Senato, quello con il tetto dei 75 giorni, le intercettazioni segrete fino al processo, la possibilità di pubblicare gli atti delle inchieste solo per riassunto. Niente verbali di Ruby o delle ragazze dell'Olgettina, per intenderci. E l'immediata entrata in vigore anche per le inchieste in corso. Rubygate compreso. A palazzo Grazioli, il giorno prima, lo ha detto al suo avvocato Niccolò Ghedini e ad Alfano: "Voi analizzate bene tutte le scorrettezze che ci hanno fatto in questa inchiesta di Milano e fate una legge per impedirle".
Il blitz sulle intercettazioni il Cavaliere lo pensa alla Camera. Dove vuole approvare a tamburo battente il testo del Senato, senza ulteriori navette. Mette nel conto che Napolitano si metterà per traverso, magari non lo firmerà, ma lui lo farà votare di nuovo. La road map l'ha decisa già in consiglio dei ministri. E ad Alfano ha dato due settimane di tempo per preparare tutti i testi, riforma della giustizia compresa. S'è inventato il gruppo ristretto dei ministri, che lavorerà a partire da martedì. Un'idea che vorrebbe riproporre anche per altri argomenti, quelli più importanti, pensando già alle udienze dei suoi quattro processi. Riunioni speciali, del premier e dei ministri, che hanno la sufficiente caratura istituzionale ammessa dalla Consulta e che ben potrebbero servire come altrettanti legittimi impedimenti per stoppare le udienze Mills, Mediaset, Mediatrade, Rubygate. E se proprio non dovesse riuscirci, come ha detto ieri in consiglio, allora si presenterà in udienza per gridare in faccia ai giudici tutta la sua rabbia per le "inchieste ingiuste", per la sopraffazione subita, "per il tentativo di disarcionarlo per via giudiziaria".
19 febbraio 2011
repubblica.it/quirinale
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