ROMA
Uno «schifo», una «vergogna» per la quale «intenterò causa» allo Stato, visto che non è prevista alcuna responsabilità dei magistrati anche se sbagliano. L’indignazione di Silvio Berlusconi contro i pm milanesi che indagano sul caso Ruby esplode nel corso della conferenza stampa convocata a palazzo Chigi. Con il paradossale risultato che è lo stesso premier a mettere in secondo piano le misure per il rilancio economico escogitate anche per scrollarsi di dosso l’immagine di un esecutivo paralizzato.
L’attacco del premier è durissimo e annuncia un’escalation nello scontro con alcuni settori della magistratura dalle imprevedibili conseguenze: come dimostra il fatto che il Cavaliere, oltre ai legali e ai provvedimenti, schiera in prima linea il suo stesso partito, con la convocazione di un Ufficio di presidenza che vede proprio il nodo della giustizia politicizzata al primo posto nell’agenda. Ne nasce una condanna contro l’uso politico della giustizia e il tentativo «eversivo» di alcuni pm. Lasciando sempre viva l’ipotesi, caldeggiata da qualcuno, di una condanna dei magistrati milanesi per attentato alla costituzione.
La partita dunque, dalle aule giudiziarie, è ormai straripata nelle sedi istituzionali e politiche più alte. Berlusconi ha chiesto e ottenuto a tutti di sostenerlo e di fare quadrato intorno a lui: lo ha fatto durante il Cdm, lo ha chiesto agli alleati (Lega in testa), lo ha preteso dalla famiglia, come dimostra la dura presa di posizione della figlia Marina sulle indiscrezioni relative a Sara Tommasi. Su questo, del resto, ha avuto gioco facile: proprio il filone campano dell’inchiesta ha gettato «fango» (per usare un’espressione cara al premier) sia sulla primogenita che sul ministro della Difesa, Ignazio La Russa. Nessuno è al sicuro, pur di arrivare a me colpiranno tutti quelli che mi stanno intorno, è il ragionamento che il Cavaliere ha ripetuto a deputati e ministri. Il clima, insomma, è da scontro finale, con buona pace del Quirinale che ha più volte chiesto a tutti di abbassare i toni.
«La "linea Ferrara", ormai, è bella che saltata», conferma un dirigente del Pdl. Come dimostrano i toni usati dal Cavaliere in conferenza stampa. Dapprima cerca di trattenersi: «Vorremmo restare sul tema delle misure prese in Cdm», si schernisce davanti ad una domanda sulla decisione della procura di chiedere il rito immediato. Poi, però, è lui stesso a cambiare idea: parla di «processi farsa» di accuse «infondatissime» che hanno l’unico scopo di «diffamare» e gettare «fango» su lui, il governo e il Paese. Le inchieste «violano la legge» e «vanno contro il Parlamento», attacca, sostenendo che il reato di concussione non esiste e che lui ha solo cercato di evitare un «incidente diplomatico internazionale» quando chiamò la questura per chiedere l’affidamento di Ruby a Nicole Minetti. «Mi domando - aggiunge - chi pagherà per tutto questo: è una vergogna, uno schifo».
Di certo non i pm, prosegue velenoso il Cavaliere, visto che «come sapete non esiste la responsabilità dei magistrati» anche se è una cosa che, ammonisce, in futuro «cambierà». Alla fine, è la conclusione, «pagherà lo Stato perchè naturalmente intenterò una causa». In ambienti del Pdl si arriva ad ipotizzare anche una accusa di attentato alla Costituzione contro i magistrati. Ce n’è abbastanza per far esplodere una grave crisi istituzionale, tanto temuta dal Colle che accoglie con gelo, si ragiona in ambienti parlamentari, la sortita del premier e segue con preoccupazione l’evolversi della situazione. La richiesta di solidarietà del premier ottiene subito i primi risultati: «Questa è la guerra totale: la magistratura contro il Parlamento», dice Umberto Bossi, che però lancia il suo monito: «Se non passa il federalismo meglio andare a votare». Intanto, dall’opposizione, Pier Luigi Bersani ribadisce la richiesta di dimissioni: «Siamo al punto di guardia, Berlusconi dovrebbe togliere l’Italia dall’imbarazzo e andarsene».
La crisi tra governo e magistratura è resa ancora più evidente dal documento finale diffuso al termine dell’Ufficio di presidenza del Popolo della libertà, a Palazzo Grazioli, nel quale si parla, senza mezzi termini, di un «gravissimo uso politico della giustizia» da parte della procura milanese in un paese come l’Italia che «pure negli ultimi 17 anni aveva conosciuto numerosi tentativi della magistratura militante di sovvertire il verdetto democratico». La maggioranza vede una parte della magistratura milanese come una sorta di «avanguardia rivoluzionaria» e promette di intraprendere tutte le opportune iniziative parlamentari per «scongiurare un nuovo 1994 o ancora peggio che a determinare le sorti dell’Italia sia una sentenza giudiziaria e non il libero voto dei cittadini». In questo clima nasce l’idea di presentare un decreto sulle intercettazioni e di rivolgersi direttamente al presidente della Repubblica. Tant’è che il Cavaliere ha fatto sapere di voler incontrare domani stesso Giorgio Napolitano, in occasione della celebrazione della giornata del "ricordo" al Quirinale, per esporgli il suo punto di vista sullo scontro in atto ed anche sulle possibili soluzioni. «Allo Stato non risulta alcun incontro con il presidente del Consiglio domani», è la gelida risposta del Colle. Un modo anche, si ragiona sempre in ambienti parlamentari, per prendere le distanze da una situazione che sta via via degenerando.
Uno «schifo», una «vergogna» per la quale «intenterò causa» allo Stato, visto che non è prevista alcuna responsabilità dei magistrati anche se sbagliano. L’indignazione di Silvio Berlusconi contro i pm milanesi che indagano sul caso Ruby esplode nel corso della conferenza stampa convocata a palazzo Chigi. Con il paradossale risultato che è lo stesso premier a mettere in secondo piano le misure per il rilancio economico escogitate anche per scrollarsi di dosso l’immagine di un esecutivo paralizzato.
L’attacco del premier è durissimo e annuncia un’escalation nello scontro con alcuni settori della magistratura dalle imprevedibili conseguenze: come dimostra il fatto che il Cavaliere, oltre ai legali e ai provvedimenti, schiera in prima linea il suo stesso partito, con la convocazione di un Ufficio di presidenza che vede proprio il nodo della giustizia politicizzata al primo posto nell’agenda. Ne nasce una condanna contro l’uso politico della giustizia e il tentativo «eversivo» di alcuni pm. Lasciando sempre viva l’ipotesi, caldeggiata da qualcuno, di una condanna dei magistrati milanesi per attentato alla costituzione.
La partita dunque, dalle aule giudiziarie, è ormai straripata nelle sedi istituzionali e politiche più alte. Berlusconi ha chiesto e ottenuto a tutti di sostenerlo e di fare quadrato intorno a lui: lo ha fatto durante il Cdm, lo ha chiesto agli alleati (Lega in testa), lo ha preteso dalla famiglia, come dimostra la dura presa di posizione della figlia Marina sulle indiscrezioni relative a Sara Tommasi. Su questo, del resto, ha avuto gioco facile: proprio il filone campano dell’inchiesta ha gettato «fango» (per usare un’espressione cara al premier) sia sulla primogenita che sul ministro della Difesa, Ignazio La Russa. Nessuno è al sicuro, pur di arrivare a me colpiranno tutti quelli che mi stanno intorno, è il ragionamento che il Cavaliere ha ripetuto a deputati e ministri. Il clima, insomma, è da scontro finale, con buona pace del Quirinale che ha più volte chiesto a tutti di abbassare i toni.
«La "linea Ferrara", ormai, è bella che saltata», conferma un dirigente del Pdl. Come dimostrano i toni usati dal Cavaliere in conferenza stampa. Dapprima cerca di trattenersi: «Vorremmo restare sul tema delle misure prese in Cdm», si schernisce davanti ad una domanda sulla decisione della procura di chiedere il rito immediato. Poi, però, è lui stesso a cambiare idea: parla di «processi farsa» di accuse «infondatissime» che hanno l’unico scopo di «diffamare» e gettare «fango» su lui, il governo e il Paese. Le inchieste «violano la legge» e «vanno contro il Parlamento», attacca, sostenendo che il reato di concussione non esiste e che lui ha solo cercato di evitare un «incidente diplomatico internazionale» quando chiamò la questura per chiedere l’affidamento di Ruby a Nicole Minetti. «Mi domando - aggiunge - chi pagherà per tutto questo: è una vergogna, uno schifo».
Di certo non i pm, prosegue velenoso il Cavaliere, visto che «come sapete non esiste la responsabilità dei magistrati» anche se è una cosa che, ammonisce, in futuro «cambierà». Alla fine, è la conclusione, «pagherà lo Stato perchè naturalmente intenterò una causa». In ambienti del Pdl si arriva ad ipotizzare anche una accusa di attentato alla Costituzione contro i magistrati. Ce n’è abbastanza per far esplodere una grave crisi istituzionale, tanto temuta dal Colle che accoglie con gelo, si ragiona in ambienti parlamentari, la sortita del premier e segue con preoccupazione l’evolversi della situazione. La richiesta di solidarietà del premier ottiene subito i primi risultati: «Questa è la guerra totale: la magistratura contro il Parlamento», dice Umberto Bossi, che però lancia il suo monito: «Se non passa il federalismo meglio andare a votare». Intanto, dall’opposizione, Pier Luigi Bersani ribadisce la richiesta di dimissioni: «Siamo al punto di guardia, Berlusconi dovrebbe togliere l’Italia dall’imbarazzo e andarsene».
La crisi tra governo e magistratura è resa ancora più evidente dal documento finale diffuso al termine dell’Ufficio di presidenza del Popolo della libertà, a Palazzo Grazioli, nel quale si parla, senza mezzi termini, di un «gravissimo uso politico della giustizia» da parte della procura milanese in un paese come l’Italia che «pure negli ultimi 17 anni aveva conosciuto numerosi tentativi della magistratura militante di sovvertire il verdetto democratico». La maggioranza vede una parte della magistratura milanese come una sorta di «avanguardia rivoluzionaria» e promette di intraprendere tutte le opportune iniziative parlamentari per «scongiurare un nuovo 1994 o ancora peggio che a determinare le sorti dell’Italia sia una sentenza giudiziaria e non il libero voto dei cittadini». In questo clima nasce l’idea di presentare un decreto sulle intercettazioni e di rivolgersi direttamente al presidente della Repubblica. Tant’è che il Cavaliere ha fatto sapere di voler incontrare domani stesso Giorgio Napolitano, in occasione della celebrazione della giornata del "ricordo" al Quirinale, per esporgli il suo punto di vista sullo scontro in atto ed anche sulle possibili soluzioni. «Allo Stato non risulta alcun incontro con il presidente del Consiglio domani», è la gelida risposta del Colle. Un modo anche, si ragiona sempre in ambienti parlamentari, per prendere le distanze da una situazione che sta via via degenerando.
Nessun commento:
Posta un commento