Salvatore Cuffaro |
Finisce, per ora, in una cella di Rebibbia la vicenda politica dell'ex governatore della Sicilia Salvatore Cuffaro nella giornata che segna la battuta conclusiva del processo di mafia dei colletti bianchi 'talpe alla dda', nel quale è stato condannato per favoreggiamento aggravato alla mafia.
Quattro ore dopo il verdetto della Cassazione che lo ha condannato a sette anni di reclusione - per aver favorito Cosa Nostra facendo sapere al boss Michele Guttadauro che la Procura gli aveva piazzato una 'cimice' in casa - il senatore dei 'Popolari Italia domani' ha, infatti, varcato l'ingresso del carcere romano dove soggiornarono anche Cesare Previti e Pietro Longo, altri due condannati eccellenti.
"Voglio affrontare il carcere con tranquillita"', sono state le sue prime parole da detenuto, recluso nel reparto di prima accoglienza.
Cuffaro ha atteso la sentenza nella capitale, pregando in una chiesa vicino alla sua centralissima abitazione al Pantheon. Nei corridoi della Suprema Corte, ad attendere la decisione della Seconda sezione penale, oltre all'avvocato Oreste Dominioni, c'era una pattuglia dei suoi fedelissimi alla quale si e' aggiunto Saverio Romano, anche lui ex Udc e compagno di partito nel 'Pid'. Ma la lettura del dispositivo, fatta dal presidente del collegio giudicante, Antonio Esposito, davanti alle telecamere autorizzate alla ripresa per la "rilevanza" della vicenda presso l'opinione pubblica, ha gelato ogni speranza.
L'aspettativa di una pronuncia clemente si era fatta strada ieri, con la requisitoria del sostituto procuratore generale Giovanni Galati che aveva alleggerito la posizione di Cuffaro sostenendo che non c'era la prova di un legame organico con la mafia, ma solo con singole persone. Insomma si prospettava una cospicua riduzione di pena: sarebbero rimasti quattro anni, tre dei quali coperti dall'indulto. Non e' andata cosi'.
"E' una sentenza che desta stupore e rammarico perche' la Procura, con una tesi molto argomentata, aveva chiesto l'annullamento dell'aggravante mafiosa, richiesta che se fosse stata accolta avrebbe sgonfiato la condanna", ha commentato Dominioni, difensore di Cuffaro insieme a Nino Mormino.
Da Palermo, di diverso avviso, il Procuratore capo Francesco Messineo sottolinea che "la sentenza della Cassazione conferma l'impianto accusatorio sostenuto dalla Procura in primo grado e cioe': il favoreggiamento, con l'aggravante mafiosa che il Tribunale aveva invece respinto". In effetti, Messineo ha motivo di essere soddisfatto perche' la sentenza emessa dalla Corte di Appello di Palermo il 23 gennaio 2010, meno clemente del primo grado, e' stata interamente confermata eccetto qualche piccola prescrizione. Il carcere si e' cosi' aperto anche per l'ex manager della sanita' privata Michele Aiello, ritenuto vicino a Bernardo Provenzano. Deve scontare 15 anni e sei mesi, la condanna piu' elevata del processo alle 'talpe'. In prigione e' finito anche l'ex maresciallo del Ros Giorgio Riolo che deve scontare sette anni e cinque mesi. E' l'unico ad aver avuto una piccola prescrizione che gli ha ridotto la pena di sette mesi.
Tutti gli altri ricorsi sono stati bocciati. Tra questi, quello del dirigente della squadra antricrimine della Questura di Palermo, Giacomo Venezia, condannato a tre anni; del direttore del distretto sanitario di Bagheria, Lorenzo Ianni' (quattro anni e sei mesi); del cardiologo Aldo Carcione (anche per lui quattro anni e sei mesi).
Numerose le reazioni all'epilogo di questa vicenda. Molti gli ex compagni di partito di Cuffaro, tra i quali il leader dell'Udc Pierferdinando Casini, che gli hanno espresso "vicinanza", pur rimarcando che le loro strade politiche si erano separate. Di sentenza "sproporzionata" parla, invece, l'ex ministro dell'agricoltura Calogero Mannino, anche lui del 'Pid', uscito indenne da 23 anni di processi per mafia, mentre il sottosegretario Carlo Giovanardi, "allibito", esprime "sconcerto e preoccupazione per la condanna".
L'europarlamentare Rita Borsellino ha espresso "rispetto per come Cuffaro ha affrontato il processo e non si e' sottratto alle conseguenze, anche se sono gravi i crimini commessi e il coacervo politico mafioso della Sicilia negli ultimi dieci anni". Al Senato, nel seggio di Cuffaro, subentrera' Maria Pia Castiglione. Anche lei del 'Pid'.
Storia di un processo, la spaccatura in ProcuraOltre alle polemiche politiche, poi culminate nelle dimissioni di Salvatore Cuffaro da presidente della Regione dopo la condanna di primo grado a 5 anni per favoreggiamento, l'inchiesta sulle 'talpe' alla Dda aveva provocato anche una spaccatura in seno alla Procura di Palermo, tra i cosiddetti "caselliani" e i "grassiani". Cuffaro inizialmente era stato indagato e interrogato, il primo luglio 2003, per l'ipotesi di reato di concorso esterno in associazione mafiosa.
Secondo i pm, avrebbe voluto favorire dall'esterno, in maniera sistematica, l'organizzazione mafiosa, ad esempio facendo vincere un concorso a due medici raccomandati dal medico-boss Giuseppe Guttadauro e accettando i condizionamenti di quest'ultimo nelle nomine dei primari negli ospedali, agevolando una variante al piano regolatore di Palermo per consentire la realizzazione, su un terreno della moglie del capomafia, Gisella Greco, di un ipermercato: Cuffaro avrebbe per questo motivo boicottato le autorizzazioni alla costruzione di un altro centro commerciale, a Villabate, non lontana da Brancaccio.
Inoltre, Guttadauro avrebbe ottenuto, grazie a Cuffaro, la candidatura di Mimmo Miceli, che del chirurgo mafioso sarebbe stato diretta espressione. Uno dei principali favori, poi, sarebbe stato l'aver consentito di scoprire la microspia che il boss aveva nel salotto.
L'accusa di mafia era, pero', naufragata di fronte agli sviluppi dell'inchiesta: si era scoperto un secondo episodio di rivelazioni di segreti, attribuito a Cuffaro, e il pool coordinato da Grasso e dall'aggiunto Giuseppe Pignatone aveva preferito puntare su episodi concreti e ritenuti provati. L'episodio Guttadauro era diventato cosi' uno dei due elementi centrali della nuova contestazione di favoreggiamento e rivelazione di segreto aggravati dall'agevolazione di Cosa Nostra.
Di fronte alla richiesta di archiviazione dell'indagine per concorso esterno si era dissociato il pm Gaetano Paci che, nell'estate 2004, aveva lasciato il pool, di cui facevano parte Nino Di Matteo, Maurizio De Lucia e Michele Prestipino. Alla fine del 2006 aveva lasciato anche Di Matteo, che avrebbe voluto che al governatore si contestasse il concorso esterno in aula.
Di questo reato, tuttavia, Cuffaro e' stato poi chiamato a rispondere comunque ed e' attualmente sotto processo davanti al Tribunale di Palermo, dove la Procura ha chiesto la sua condanna a 10 anni.
Storia di una lunga indagine
La vicenda della 'talpe' alla Dda di Palermo che coinvolge il senatore Salvatore Cuffaro e sulla quale si e' pronunciata oggi la Cassazione e' figlia dell'indagine originariamente chiamata "Ghiaccio" su Giuseppe Guttadauro, medico chirurgo all'ospedale Civico di Palermo e condannato nel processo "Golden Market" come reggente della famiglia mafiosa di Roccella.
Guttadauro, era detenuto nell'estate del 1999, quando i carabinieri del Ros piazzarono otto microspie in una casa ancora vuota, convinti che il boss non si sarebbe aspettato di essere monitorato con tanto anticipo. A collocare le 'cimici' fu un maresciallo esperto in questo ramo: Giorgio Riolo. Alla fine del 2000, Guttadauro fu scarcerato in anticipo, per buona condotta, e temendo nuove indagini blindo' il suo appartamento di via De Cosmi, nel centro di Palermo, e decise che lui o uno dei suoi familiari, la moglie Gisella Greco e il figlio Francesco, avrebbero sempre dovuto restare in casa per evitare "sorprese".
Ma le sorprese, cioe' le 'cimici', gia' c'erano e permisero ai carabinieri di ascoltare le riunioni con altri mafiosi. Guttadauro diventato frattanto capo del mandamento mafioso di Brancaccio, oltre a organizzare estorsioni a partire da febbraio del 2001, riceveva in casa due suoi ex allievi medici della terza divisione di Chirurgia del Civico: Domenico "Mimmo" Miceli e Salvatore "Salvo" Aragona. Il primo faceva allora politica attiva nel Cdu, il secondo era stato gia' condannato per concorso esterno in associazione mafiosa, dopo avere operato il latitante Enzo Salvatore Brusca, fratello di Giovanni, allo scopo di evitargli una condanna per omicidio. Con loro, Guttadauro parlava di politica, di candidature, di affari relativi a un centro commerciale da realizzare su un terreno della moglie del boss, di concorsi per medici e per posti di primario, ma pure di 41 bis e di ergastolo, che il capomafia voleva aboliti. E si parlava pure di Cuffaro, all'epoca in procinto di candidarsi come alla presidenza della Regione.
Guttadauro cercava un contatto con lui, e secondo l'accusa Miceli, aspirante deputato regionale, aveva accettato, assieme ad Aragona, di fare da intermediario. Gli ascolti a casa Guttadauro cessarono improvvisamente il 15 giugno 2001: tre giorni prima, Aragona era andato a casa del capomafia da solo e lo aveva messo in guardia da intercettazioni telefoniche che sarebbero state fatte tra lo stesso Guttadauro e Miceli. "A lui - specifico' Aragona - glielo ha detto Toto'". Che per gli inquirenti sarebbe Cuffaro.
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