venerdì 27 maggio 2011

Quei veleni invisibili che scorrono nei nostri fiumi

26/05/2011
DOSSIER. Greenpeace pubblica il rapporto “Danni sommersi” sulle conseguenze dell’inquinamento industriale nei corsi d’acqua dell’emisfero Nord. Un campanello d’allarme per i Paesi in via di sviluppo.

Osservare i disastri ambientali esistenti per mettere in guardia l’umanità, evitando che certe “cattive abitudini” si ripetano. Questo lo scopo della nuova campagna organizzata da Greenpeace e mirata a porre l’attenzione, auspicando opportuni rimedi, al grave inquinamento che interessa sempre più fiumi del pianeta, massimamente quelli che scorrono nei Paesi dell’emisfero Nord, ben più industrializzati. Guardando a questi corsi d’acqua, e analizzando caso per caso, l’associazione ambientalista si rivolge alle nazioni emergenti dell’opposto emisfero, perché non sottovalutino tali invisibili minacce. Il titolo del dossier non a caso è “I danni sommersi”, visto che l’azione nociva delle sostanze persistenti nell’ambiente, tossiche e bioaccumulanti, ovvero capaci di accumularsi nella catena alimentare, è estremamente pericolosa per habitat e salute umana, ma anche impossibile da eliminare e disperdere.

Gli esempi inseriti nello studio offrono una galleria degli orrori non indifferente: nell’elenco ci sono i fiumi Chao Praya in Thailandia, che scorre nell’area di Bangkok e “ospita” 13 milioni di persone e 30.000 industrie, il russo Neva, nell’area di San Pietroburgo con oltre 5 milioni di abitanti, il Marilao nelle Filippine, caratterizzato da raffinerie e discariche, e lo Yangtze in Cina, zona Shangai, con una popolosità di 20 milioni di persone. Tutti corsi che forniscono acqua a uso potabile, domestico e agricolo per grandi aree rurali. Completano il quadro case histories eclatanti per le conseguenze di opere di bonifica esose e insostenibili: quelle riguardanti i fiumi Hudson negli Stati Uniti e Laborec in Slovacchia, entrambi fortemente contaminati da policlorobifenili (Pcb), composti chimici oggi vietati.

Altri esempi finiti nella lista sono il Delta del Reno, per via delle enormi difficoltà incontrate nella decontaminazione del bacino fluviale dalle sostanze pericolose che vi erano state riversate, e una discarica in Svizzera, colma di rifiuti tossici prodotti da industrie chimiche e farmaceutiche. L’allarme è alto e doveroso, giacché i danni arrecati dall’inquinamento industriale a salute e ambiente, compromettendo anche le economie locali, vengono raramente presi in considerazione e arginati nei tempi opportuni. Le problematiche non sono dovute tanto alla non facile impresa di calcolare i fenomeni, quanto all’ identificazione dei soggetti responsabili delll’inquinamento.

Per questa ragione, cioè il principio sempre meno adottato per cui “chi inquina paga’’, Greenpeace chiede ai Governi di assumersi «l’impegno per un futuro senza sostanze tossiche e di adottare misure in grado di eliminare progressivamente l’utilizzo e il rilascio di materiali dannosi fino a raggiungere l’obiettivo “scarichi zero”». Come osservato da Vittoria Polidori, responsabile della campagna Inquinamento di Greenpeace, far crescere l’attenzione per le drammatiche esperienze dei Paesi industrializzati, avvertendo quelli del Sud del mondo o è indispensabile, «perché essi sappiano difendersi: è proprio lì che è stata trasferita gran parte della produzione chimica e manifatturiera».

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