Perché Tremonti continua a negare l'allarme che arriva da più fronti.
Giovedì, 26 Maggio 2011
Corte dei Conti, Istat, Standard and Poor’s, Ocse, Inps. Cinque sentenze da brividi sull’Italia e la sua economia ma il ministro tira su le spalle e nega, fortissimamente nega. Non è una novità. Con la sua affettata e affascinante erre moscia Tremonti ci ha abituati fin dal primo dei suoi molti mandati a questo automatismo: il negare sistematicamente, contro ogni evidenza. Un modo come un altro per evitare il merito e il confronto.
La cosa strabiliante è che le cinque sentenze negative e gravi sono arrivate a mitraglia, una dopo l’altra e nello spazio di due o tre giorni. Tanto da far pensare a uno strumento usato ad arte per far perdere i ballottaggi ai partiti di governo: ma naturalmente non è così.
L'ALLARME DELLA CORTE DEI CONTI. Cominciamo dalla più pesante, strutturale e negativa. Regia dell’esternazione: la Corte dei Conti. La Corte si esprime sulla base di un provvedimento della Commissione europea di recentissimo conio che provvede a dettare le regole per la riduzione progressiva del rapporto debito/Pil di tutti gli stati della zona Euro.
Su questo indicatore della finanza pubblica europea l’Italia, com’è noto, se la passa malissimo. È penultima in Europa (dopo di lei solo la disastrata Grecia) e il suo è un rapporto pesante come il classico macigno: 120%.
IL RAPPORTO DEBITO/PIL. Significa: 120 di debito consolidato ogni 100 di Pil annuo. Ebbene, era già scritta nero su bianco da molto tempo la decisione per tutti gli stati europei di portare quel rapporto al 60% , nessuno escluso, ma, come spesso avviene, non erano ancora state emesse regole ferree per costringere gli stati ad arrivare all’obiettivo.
LA REGOLA UMANA DEL 60%. Tenuto conto che, per qualcuno, fra cui l’Italia, la differenza fra debito e Pil era talmente alta che non sarebbe stato mai ipotizzabile un rientro in tempi, non si dice rapidi, ma normali o medi, l’Europa si è data una regola “umana” uguale per tutti: arrivare a quel fatidico 60% provvedendo a ridurre la differenza fra i due valori al ritmo di un ventesimo l’anno.
Insomma, nel 2032 ogni Stato dovrà aver raggiunto l’obiettivo.
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