giovedì 3 marzo 2011

Crisi libica, esplode la guerra del petrolio E le compagnie trattano con i ribelli

Secondo il Financial Times l'opposizione controlla ormai una serie di campi petroliferi nell'est del paese. Dopo l'appoggio a Gheddafi, ora i manager trattano con gli insorti per garantire l'incolumità dei giacimenti

“Il regime di Gheddafi non controlla più i principali campi petroliferi libici”. L’ha confermato lunedì il commissario europeo per l’energia Günther Oettinger. I maggiori giacimenti sarebbero passati nelle mani delle formazioni ribelli. Poco male. Le compagnie petrolifere di mezzo mondo hanno già cambiato strategia e appoggerebbero ormai apertamente le forze di opposizione. Lo ha rivelato ieri, con dovizia di particolari, il Financial Times. “L’opposizione controlla ormai una serie di campi petroliferi nell’est del paese”, scrivono Javier Blas e David Blair sul quotidiano finanziario di Londra. “I big del petrolio non hanno altra scelta che quella di rispettare la realtà delle cose”. Dopo aver appoggiato fino all’ultimo Gheddafi, ora i manager delle società petrolifere scendono a patti con i leader delle diverse tribù per ottenere garanzie sulla sicurezza dei giacimenti, che sono ritenuti cruciali nella battaglia tra il colonnello e le opposizioni. Anche perché, dall’inizio della crisi, la produzione di petrolio, che vale qualcosa come 5,5 miliardi di dollari al mese, si sarebbe dimezzata e continuerebbe a scendere.

“L’opposizione controlla ormai il Campo di Sarir a est del paese, il più grande della Libia, oltre a numerosi terminal per l’esportazione”, continua Ft. La società Arabian Gulf Oil Co., che gestisce Sariri, si è staccata proprio questa settimana dalla NOC (National Oil Corporation), la società petrolifera di Stato, e ora si muove in modo autonomo nelle mani dei ribelli. Nell’est del paese numerosi campi petroliferi controllati da società straniere, come l’austriaca OMV e la tedesca Wintershall (Gruppo Basf) avrebbero già fermato la produzione.

Ma Gheddafi non molla. Interi settori dell’industria petrolifera sarebbero ancora nelle sue mani, soprattutto nel centro e nell’ovest del paese e la notte scorsa – secondo quanto riportano in queste ore le agenzie di stampa – sarebbe iniziata una controffensiva nella parte orientale. La NOC, intanto, fa sapere che è tutto sotto controllo. “Stiamo ancora coordinando la produzione e le esportazioni. Tutti i giacimenti libici sono sicuri. I campi petroliferi non sono danneggiati”, ha dichiarato ieri a Reuters Shokri Ghanem, presidente della compagnia statale. “I campi nel profondo sud-ovest della Libia, controllati in gran parte dall’Eni e dalla spagnola Repsol, sarebbero ancora nelle mani di truppe leali al colonnello Gheddafi”, aggiunge il Financial Times. “I manager delle compagnie interessate hanno dichiarato che la produzione è al minimo, osservando che il principale terminal per il petrolio del sud-ovest è a Zawiya, a 40 Km ad ovest di Tripoli, una zona interamente controllata dai ribelli”.

Le fasi finali della battaglia che oppone le tribù dei ribelli alle forze del colonnello si giocherà tutta sul controllo dei principali giacimenti petroliferi e dei terminal per l’esportazione. La Libia ha sei terminal principali per l’export e Gheddafi ne controllerebbe almeno due, Es Sider e Ras Lanuf, uno dei più grandi. “Ras Lanuf ed Es Sider sono asset strategici, la vera merce di scambio che il colonnello ha in mano al momento per future negoziazioni”, riporta Ft. I due terminal sono molto probabilmente anche le ultime postazioni che le forze leali a Gheddafi saranno disponibili a mollare. Ras Lanuf e Es Sider sono nella zona sotto il controllo delle forze governative, ma possono essere utilizzati solo se sono connessi con i campi petroliferi. Ras Lanuf, nel Golfo della Sirte, è però collegato da un oleodotto ai campi dell’est, controllati dagli oppositori, che sono ormai in grado di gestire anche un certo numero di terminal, come Marsa el-Brega, Tubruq, Zueitina e Zawiya. Non a caso, proprio la città di Marsa el-Brega da questa notte è sotto attacco delle forze del regime che vogliono riprenderne il controllo.

La “rivoluzione” libica promette di essere, fino all’ultimo, una guerra del petrolio, tra terminal e giacimenti, con l’appoggio determinante delle compagnie occidentali. E con poche, pochissime armi, fatte salvo quelle che arriveranno dall’estero. Pare infatti che l’esercito di Gheddafi sia uno dei meno armati della regione. Tra il 2008 e il 2010, ha rivelato oggi Bloomberg citando i dati dello Stockholm International Peace Research Institute (Sipri), il leader libico avrebbe destinato alle spese militari appena l’1,2% del Pil, la percentuale più bassa di tutto il Medio Oriente. Ne risultano forze armate limitate per numero (50.000 uomini) e incapaci di fornire un sostegno decisivo tanto al dittatore quanto, in seguito all’eventuale diserzione dei loro ufficiali, ai ribelli. Questa generale debolezza militare, sottolinea Bloomberg, rende ancor più difficile il compito dell’Occidente di trovare interlocutori nel sostegno alla ribellione.
 3 marzo 2011

ilfattoquotidiano.it/guerra-del-petrolio

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