mercoledì 2 febbraio 2011

Bolletta dell’acqua del Vaticano: perché la paga lo Stato?

La crisi economica costringe le famiglie italiane a fare vere e proprie acrobazie per poter arrivare alla fine del mese. Una congiuntura che colpisce sempre di più le giovani generazioni, fortemente penalizzate da quello che i liberisti si ostinano a chiamare “mercato del lavoro”. Considerata la situazione anche pochi milioni di euro possono fare la differenza nel bilancio dello Stato.

Denari che potrebbero tornare utili per evitare di tagliare in settori strategici per la ripresa o per la tenuta dello stato sociale. Nelle scorse ore sono stati diffusi i dati relativi all’evasione fiscale, miliardi di euro che lo Stato potrebbe anche non incassare. I presunti evasori si rivolgeranno alle Commissioni tributarie e le somme contestate con tutta probabilità si ridurranno. Bussare alla porta degli evasori è senza dubbio cosa buona e giusta per fare cassa però si potrebbe varcare per la prima volta la soglia di uno dei tanti portali della Città del Vaticano.

Compilare la cartella esattoriale non sarebbe nemmeno tanto difficile. Non stiamo parlando di artifici contabili sull’Iva relativi ad attività di import-export; parliamo della fornitura d’acqua garantita dallo Stato dal lontano 1929.

Il Concordato del 1929 tra lo Stato italiano e lo Stato della Città del Vaticano all’articolo 6, primo comma, prevede che “l’Italia provvederà a mezzo degli accordi occorrenti con gli Enti interessati che alla Città del Vaticano sia assicurata un’adeguata quantità di acqua in proprietà”, una norma che non è stata toccata dal successivo accordo tra la Repubblica italiana e la Santa Sede del 18 febbraio 1984.

Una situazione che non appare più tollerabile alla luce delle difficoltà che attraversano le casse del Tesoro e quelle degli Enti locali. Per questo motivo il segretario del Partito repubblicano Francesco Nucara ha deciso di prendere carta e penna per indirizzare un’interrogazione al ministro degli Esteri Franco Frattini. L’inquilino della Farnesina potrebbe prendersi però molto tempo per rispondere al quesito che, nonostante l’oggetto, ha contorni tutt’altro che limpidi e cristallini.

I rapporti col Vaticano sono tesissimi e le indiscrezioni parlano di ripetuti contatti tra i porporati e il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni Letta. L’esecutivo ha paura che le dure critiche arrivate da Oltretevere possano incrinare definitivamente il rapporto tra l’elettorato cattolico ed il Popolo della libertà. “La definizione di adeguata quantità di acqua – scrive l’esponente del Pri – è tale da poter essere soggetta a qualunque interpretazione. Lo Stato italiano deve inoltre rimborsare l’Acea, società fornitrice per tutto ciò che attiene alle necessità dello Stato Città del Vaticano in relazione alle forniture idriche, e ciò comporta un onere pari a diversi milioni di euro l’anno”.

Denari che potrebbero essere sicuramente impiegati per scopi più nobili. Evidentemente però non tutti sono d’accordo nel ritenere le prebende un anacronismo da cancellare al più presto. È meglio che tutto sia caratterizzato da una notevole incertezza, un mistero della fede che non chiarisce se ci si debba far carico coi soldi pubblici dell'onere relativo ai consumi delle tredici dipendenze della Santa Sede che godono del regime di extraterritorialità. Passando poi alla acque reflue – non poteva essere altrimenti – la puzza aumenta.

Il Concordato nulla dice in merito alle acque nere prodotte entro le mura leonine. Su questo tema però la Santa Sede, bontà sua, ha riconosciuto di dovere qualcosa alla società che si occupa delle forniture idriche. Nel 2001 il Vaticano aveva versato nelle casse della municipalizzata capitolina una quota per la realizzazione di un depuratore. Un pagamento una tantum infinitamente piccolo se messo a paragone con i ventinove milioni di euro stanziato dalla Finanziaria del 2005 per dotare il Vaticano di un sistema di acque proprie.

Giulio Tremonti sa bene quale rubinetto chiudere per evitare di continuare ad onorare i debiti altrui. Per il momento tocca a Frattini attivare i suoi buoni uffici. Dopo il carteggio col primo ministro di Saint Lucia abbiamo capito che ha particolare dimestichezza con gli staterelli. Qui le consuetudini consolari non servono, gli basta una passeggiata per farsi una chiacchierata con i debitori in abito talare.
 (01 Febbraio 2011)

rinascita.eu/

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