di Michele Ainis
Il Colle ha diritto di decidere anche in solitudine, specie se avvengono fatti rilevanti come il cambio della maggioranza o lo stallo delle decisioni da parte del Parlamento.
Ormai l'esecutivo è un'accozzaglia di zombi: né vivi né morti. Una situazione in cui il Quirinale potrebbe decidere da solo di sciogliere le Camere, anche contro il parere del governo. E non sarebbe una novità costituzionale.
In un romanzo di José Saramago ("Le intermittenze della morte", 2005) le agenzie di pompe funebri vanno in fallimento: da un giorno all'altro la gente smette di morire. I moribondi aprono un occhio, ma restano in sospeso fra la vita e la morte. I loro familiari reagiscono dapprima con sollievo, poi a lungo andare con fastidio, con insofferenza, con un moto d'esasperazione. Per forza: come fai a tirare avanti, quando hai uno zombie dentro casa?
Ecco, è esattamente questa la condizione del governo Berlusconi: non campa e non crepa. Esala sempre il penultimo respiro. Nel frattempo l'economia va a scatafascio, l'immagine internazionale del Paese idem, sul fronte interno monta un sentimento di sfiducia popolare che s'allarga a ogni altra istituzione.
Ma in Parlamento la fiducia c'è, persino troppa: 50 voti su altrettante questioni di fiducia per il IV gabinetto Berlusconi, un record. Insomma lui non si dimette, la maggioranza brontola ma non ha fegato per un'eutanasia, l'opposizione è a sua volta in coma. Più che un medico, servirebbe un esorcista.
Chi? Napolitano. E infatti sul Quirinale fioccano appelli, imbeccate, esortazioni. Errore: altro è accompagnare gli atti del presidente con un applauso o con una nota di dissenso, altro è aspettarsi che li compia sotto dettatura. In quest'ultimo caso apparirebbe come un attore alla mercè di un suggeritore: prospettiva non entusiasmante. Da qui il difetto - di metodo, per così dire - della proposta avanzata da Eugenio Scalfari il 18 settembre. Ossia un messaggio solenne al Parlamento, per accendere i riflettori sulla credibilità dell'esecutivo.
Anche sul merito, però, c'è qualche controindicazione. A parte il fatto che Napolitano non ha mai usato il potere di messaggio (Ciampi, d'altronde, lo usò una volta sola), quali sarebbero mai i suoi contenuti? O un richiamo alle assemblee legislative affinché si sbarazzino al più presto del governo: una forzatura senza precedenti. O un avviso di sfratto per le stesse Camere: ma lo scioglimento anticipato non si minaccia, si decreta. Sempre che, beninteso, ve ne siano i presupposti.
E allora sbuca fuori la domanda: ma Napolitano può licenziare il Parlamento, anche contro l'avviso del governo?
I costituzionalisti, tanto per cambiare, si dividono in tre schiere. C'è chi interpreta lo scioglimento anticipato come una decisione solitaria dell'esecutivo; chi lo consegna interamente nelle mani del capo dello Stato; chi lo ricostruisce come un potere in condominio. Sennonché la prima soluzione venne esclusa dai costituenti quando respinsero l'emendamento Nobile, che vincolava ogni scioglimento a una proposta del Consiglio dei ministri. Ma fu respinto anche l'emendamento Dominedò, che intendeva viceversa escludere la controfirma del presidente del Consiglio. Se c'è la controfirma, significa che l'omicidio è in realtà un suicidio, un harakiri della maggioranza; Napolitano può solo firmare il certificato di decesso.
Giusto? No, sbagliato. Intanto la controfirma non pregiudica la titolarità sostanziale del potere, come dimostra il caso della grazia ai detenuti, su cui la Consulta ha attestato il monopolio del capo dello Stato (sentenza n. 200 del 2006). In secondo luogo, fra gli 11 scioglimenti anticipati di cui abbiamo esperienza, c'è almeno un precedente deciso dal Quirinale in solitudine: quello di Scalfaro, gennaio 1994. Quando c'era una maggioranza attorno al governo Ciampi, eppure il presidente aprì le urne agli italiani.
Per tre ragioni: era cambiata la legge elettorale; un voto amministrativo aveva appena dimostrato che la maggioranza parlamentare non rifletteva più la maggioranza popolare; le inchieste giudiziarie avevano tolto credibilità alle Camere.
Toh! La prima no, ma le altre due ragioni varrebbero anche adesso. E ce n'è poi una terza, che potrebbe diventare valida domani: se il Parlamento cade in stallo. Se non procede al rinnovo degli organi costituzionali (alla Consulta manca un giudice ormai da cinque mesi). Se boccia l'ennesima manovra, senza vararne un'altra. E se infine cade in stallo anche il governo. Scenari pessimi, ma forse il peggio è già qui e ora.
espresso.repubblica.it/napolitano-puo-dire-basta
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