I black bloc hanno imperversato su Roma il 15 ottobre. L'azione era chiara: oscurare la manifestazione, ovviamente pacifica, degli indignati che, al massimo avrebbero suonato qualche tamburo, urlato qualche slogan e, alla fine, liberato palloncini colorati. E ancora, seminare il panico, fare paura.
Qualcuno, che ha preferito l'anonimato, ha detto, secondo quanto riportato da La Repubblica, di aver riconosciuto tra i 'neri' i torinesi di Askatasuna, i Carc di Rovereto, i padovani di Gramigna. Qualcun altro ha assicurato di aver intravisto facce note dei romani di Acrobax.
Qualche ultrà della Roma e del Cosenza. Addirittura operai di Pomigliano, «o almeno così dicevano di essere».
Ma chi sono i black bloc?
Sul quanti erano non ci sono ancora certezze. Le stime hanno continuato a oscillare: prima qualche centinaio, poi sono diventati 1.000 e alla fine 1.500, anche se il sindaco di Roma, Gianni Alemanno, su Sky Tg24 ha parlato di «2 o 3 mila».
LE MIRE SUL 15 OTTOBRE.
L'Agenzia informazioni e sicurezza interna (Aisi) ha consegnato una lunga nota che nel definire una mappa articolata della galassia antagonista, usa parole gravi.
«La mobilitazione del 15» si legge «segna un punto di non ritorno e lo snodo per le future dinamiche contestative». Il 15 ottobre doveva essere ed è stato uno spartiacque.
Un dirigente dell'antiterrorismo ha affidato una riflessione a La Repubblica: «Dire genericamente centri sociali o antagonisti è un errore. Non aiuta la comprensione. Chi ha colpito a Roma, lo aveva pianificato. È una frangia di sofferenza sociale e politica assolutamente minoritaria che non ha neppure una parvenza di struttura organizzativa che non sia un servizio di messaggistica su blackberry o iPhone. Che indubbiamente gravita intorno ad alcuni luoghi. Alcuni centri sociali» ha detto.
NICHILISTI ARRABBIATI.
Il dirigente che ha aggiunto: «Non tutti. Che nulla ha a che vedere né con la sinistra politica, né con quella radicale.
Che non ha nella sinistra politica e radicale i suoi 'cattivi maestri'. Ma proprio qui sta la loro pericolosità. Sono isolati. Non hanno altro progetto che non sia la manifestazione nichilista del loro odio. Annidano il germe di una possibile nuova stagione di violenza di stampo brigatista. E in questo contesto cercano di saldarsi con un disagio sociale che ormai abbraccia fette sempre più consistenti del Paese. A cominciare dagli studenti e gli operai».
La preparazione della guerriglia annunciata
Un post anonimo pubblicato il 14 ottobre sul sito di Indymedia (che per policy non censura, ma al limite «occulta») ha scatenato una polemica: c'era chi lo voleva rimosso e chi no.
Il post, da alcuni ritenuto «una provocazione», invitava alla mobilitazione: «Compagni tutti» si leggeva «sapete già che il 15 ottobre a Roma si terrà la manifestazione contro il sistema, e lo specifico è proprio questo: seppur si siano accodati a cose fatte Cgil e suoi lacché, l'iniziativa (europea) nasce con spirito sorprendentemente rivoluzionario.
Pare che col crollo di tutto ciò che può crollare di organico al sistema capitalista anche i sassi inizino a muoversi. L'occasione è unica. Sicuramente le forze di polizia ci attaccheranno, anche non dovesse esserci il minimo intento conflittuale (che comunque ci sarà e deve esserci da parte nostra). Dobbiamo tutti, rivoluzionari di ogni tendenza che saranno lì per rabbia e coscienza del baratro nel quale ci vogliono gettare definitivamente, combattere.
Non come a Genova nel 2001. Non come il 14 dicembre 2010. Non dobbiamo fermarci! Portare con sé di 'tutto' per prendere e tenere la piazza! (...) I compagni di ogni dove si stanno preparando per il 15: i compagni della Val Susa (onore a loro), gli operai, gli studenti, gli emarginati di sempre... ma non cadiamo nella retorica... Combattere!».
«Nessuno oggi può dire quali mani abbiano firmato quel post» ha specificato una fonte dell'Aisi su La Repubblica «certo, somiglia a un abbozzo di manifesto, a un decalogo di intenti per una stagione che di qui alle prossime settimane avrà altri importanti appuntamenti di piazza. È una sorta di prima conta».
DA MANIFESTANTE A 'NERO'. Vicino al negozio Super Elite è finita la finzione di una cinquantina di falsi manifestanti. Testimoni li hanno visti deporre gli zaini, estrarre maschere antigas, felpe e passamontagna neri. Il casco, che fino a quel momento era rimasto attaccato alla cinta dei pantaloni, in testa. La trasformazione ha avuto luogo sotto gli occhi di tutti. Il segnale, secondo quanto ha riportato Corriere della Sera, è stato dato con uno dei violenti (perché manifestanti non sono) che si è messo a prendere a calci un cartello di divieto di sosta, fino a strapparlo dall'asfalto e usarlo per sfondare una vetrina. A quel punto non ci sono più dubbi sugli intenti di questi teppisti.
L'INTENTO DI FAR FALLIRE IL CORTEO. Chi conosce la geografia del movimento antagonista contemporaneo ha parlato di alcune centinaia di persone, in parte romane, in parte arrivate da fuori, che si erano preparate a spaccare il corteo e a farlo fallire. C'è anche chi ha citato qualche esempio: gente che gravita intorno al centro sociale Acrobax, al magma riunito nel nome di un evocativo «San Precario», gruppi organizzati napoletani, anarchici sparsi, spezzoni del tifo livornese che non hanno mai nascosto lo schieramento nell'estrema sinistra, e altre sigle ancora.
TARZAN: SONO FIGLI NOSTRI. «Io non faccio la spia, e i conti preferisco regolarli dentro casa» ha spiegato al Corriere Andrea Alzetta, noto anche col soprannome di «Tarzan», il militante del collettivo Action eletto nel consiglio comunale di Roma «ma quei ragazzi incappucciati che hanno fatto gli scontri sono i nostri figli e fratelli minori. Sono ragazzi arrabbiati e disperati ai quali non basta la sponda politica che noi cerchiamo di offrire. E se la politica non cambia, se neppure il movimento antagonista riesce a individuare una prospettiva credibile, lo scenario purtroppo è e sarà questo».
Domenica, 16 Ottobre 2011
lettera43.it/non-chiamateli-manifestanti.
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