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In realtà la stabilità politica era ed è solo apparente. E non si è tradotta in fatti concreti. Gli avvertimenti si sono sprecati: organismi internazionali, agenzie di rating, Banca d'Italia ed economisti di varia formazione hanno spronato il governo a fare di più, a sfidare le corporazioni che bloccano lo sviluppo dell'economia italiana.
Ma le esortazioni non sono bastate. E l'immobilismo è prevalso. Se ne sono accorti gli investitori che questa estate, nell'ansia di trovare approdi sicuri per i loro capitali, hanno "scaricato" i titoli di Stato italiani. Con il risultato di far decollare i rendimenti e di costringere la Banca centrale europea (Bce) ad acquistare Btp per evitare che l'intera costruzione dell'euro saltasse per aria.
Spaventato dalla sanzione dei mercati il governo ha reagito con una manovra pesante: 54 miliardi, a regime nel 2013, che dovrebbero avvicinare il bilancio pubblico al pareggio. Ma c'è arrivato in modo confuso e pasticciato. Tanto che il miglioramento in termini di tassi d'interesse è stato modesto, quasi impercettibile. Mentre l'euro si avvicina al collasso a causa della Grecia. E così le preoccupazioni per un'economia ferma sono riprese.
La crescita che non c'è più
Se il Prodotto interno lordo (Pil) aumenta, tutto è più semplice: la gente trova lavoro, lo Stato incassa più tasse e spende meno in sussidi, le famiglie consumano di più, le imprese investono. Tra il 2001 e il 2010 il Pil italiano è aumentato poco o nulla (vedere grafico), perché le piccole variazioni all'insù sono state compensate dal tonfo all'ingiù del 2008 e soprattutto del 2009. "Secondo i nostri calcoli", osserva Luca Paolazzi, direttore del Centro studi della Confindustria, "il Pil pro capite italiano nel 2012 sarà uguale a quello del 1999 e inferiore del 7 per cento a quello del 2007. Ed è significativo il confronto con la media dell'Unione europea: mentre nel 1991 il Pil pro capite italiano era il 106 per cento, nel 2007 era il 99 per cento e nel 2012 scenderà al 93 per cento".
espresso.repubblica.it/LEGGI TUTTO
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