Il giudice tributario nel corso della causa non ha alcun obbligo di interpellare gli uffici delle Entrate o di esercitare le proprie facoltà di accesso e richiesta chiarimenti.
Ciò è quanto stabilito da una recente sentenza della Suprema Corte (sentenza della Corte di Cassazione n.26424 del 30/12/2010), la quale ha chiarito che i poteri riconosciuti dalla legge alla Commissione Tributaria (si veda l’art. 7 del Dlgs n.546/92, intitolato “Poteri delle commissioni tributarie”) possono essere esercitati discrezionalmente e non possono sopperire al mancato rispetto dell’onere probatorio di una delle parti.
Tali considerazioni risultano di notevole importanza per il contribuente, il quale è chiamato, in corso di causa, a rilevare tutti i fatti e a produrre tutta la documentazione necessaria per annullare l’atto tributario illegittimo (ad esempio un accertamento tributario, un avviso di liquidazione, una cartella di pagamento, ecc…).
D’altronde, come già chiarito in altra pronuncia della Suprema Corte, se da una parte il predetto articolo 7 consente alla Commissione di esercitare tutte le facoltà di accesso, di richiesta di dati, di informazioni e chiarimenti, dall’altra è pacifico che esso non può essere utilizzato per sopperire alle mancanze di una delle parti, poiché tali poteri “sono meramente integrativi (e non esonerativi) dell’onere probatorio principale e vanno esercitati, al fine di dare attuazione al principio costituzionale della parità delle parti nel processo, soltanto per sopperire all’IMPOSSIBILITA’ di una parte di esibire documenti in possesso dell’altra parte” (sent. Cass. n.10267 del 16/05/2005).
24 gennaio
Avv. Matteo Sances
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